Da sempre, l’alimentarsi e il nutrirsi sono stati legati nell’immaginario collettivo a concetti e parole come “crescita” e “vita”. L’alimentazione è quindi diventata parte e strumento integrante della celebrazione della vita. A tal uopo il significato di alcune parole è stato stravolto e adattato; si pensi al termine “Convivio” (dal lat. convivium, der. di convivĕre «vivere insieme), che è divenuto sinonimo di banchetto, proprio a sottolineare come il benessere non solo fisico e corporale della persona derivi dal cibo (introduzione di calorie) ma anche quello psicologico, proprio perché il cibo permette, attraverso diversi meccanismi (conoscenza, condivisione, prendersi cura), l’appagamento psicologico che è tipico di chi sta bene.
Quindi l’alimentarsi e il nutrirsi sono intesi dalla nostra società come un chiaro segno dell’”Essere”; per contro, la loro privazione per necessità o malattia riveste un significato drammatico in chi la subisce in quanto “Non Essere” e l’emaciazione del corpo per il ridotto introito calorico diventa anche emaciazione dello spirito, che si annichilisce pian piano, venendogli tagliato il cordone che lo teneva ancorato alla vita. Ecco che espressioni ataviche ormai parte del linguaggio popolare, ad esempio “sei sciupato” (consumato da consunzione, estinzione), assumono un ruolo chiaro, netto, proprio perché il dimagramento e la malattia diventano quasi un cancellarsi non solo del corpo ma anche dello spirito che vi resta intrappolato.
Costanzo Benedetta Veruska, Specialista in Diabetologia e malattie del metabolismo