Chi si occupa di alimentazione e tratta pazienti con disturbi del comportamento alimentare, certamente, ha avuto modo di verificare direttamente le difficoltà del trattamento.
Nell’approccio tradizionale al paziente si utilizzano quasi esclusivamente interventi basati sul controllo da parte di agenti esterni all’individuo che desidera perdere peso: si dà cioè al paziente una dieta stampata e gli si chiede di limitarsi a seguirla.
La persona in sovrappeso è e rimane inconsapevole delle cause del suo disturbo, e non viene coinvolta nel processo decisionale sul cambiamento da effettuare, che non prende in considerazione la sua realtà quotidiana, le abitudini, la patologia. Di conseguenza, avviene che spesso egli possa interrompere il trattamento, oppure se perde peso possa successivamente riguadagnarlo.
Nella terapia esclusivamente dietetica e restrittiva l’attenzione si concentra solo sull’aspetto qualitativo dell’alimentazione per cui certi cibi vengono tassativamente “proibiti”. Tali cibi, oltre che dolci, biscotti, includono anche pasta, pane e vengono sostituiti con altri considerati poco appetitosi come verdure, carne, ecc.
Il paziente di conseguenza diventa irritabile e le sue sensazioni possono rasentare l’angoscia e la fobia o al contrario può sviluppare un appetito insaziabile. La dieta viene abbandonata e il soggetto ritorna alle precedenti abitudini alimentari e rapidamente recupera il peso perso, dando origine alla ben nota sindrome a yo-yo. Tutto ciò succede perché è avvenuta una delega della gestione della sua salute al terapeuta, e il paziente ha assunto un ruolo di passivo esecutore delle “prescrizioni” impartitegli.
È quindi opportuno pensare alla “dieta” non più come ad uno schema rigidamente articolato in pasti, grammature e alimenti permessi, ma come ad un insieme di comportamenti alimentari che rispettano corrette proporzioni quali-quantitative tra gli alimenti, espresse in porzioni e in scelte libere all’interno dei gruppi alimentari, in base al principio dell’equivalenza dei contenuti nutrizionali; dove il concetto di “permesso” e “proibito” possa ricondursi al concetto di “frequenza” giornaliera, settimanale, o altro.
Il Dietista dovrà pertanto:
- spiegare in modo chiaro i principi di corretta alimentazione; il rapporto tra stile di vita e dello stato di salute.
- Guidare verso l’autogestione alimentare, svolgendo compiti di sostegno e consulenza in caso di difficoltà.
- Stimolare la ricerca e la scelta di opportune soluzioni.
- Dare l’opportunità di confrontare le informazioni personali, le idee e le esperienze con le indicazioni alimentari consigliate.
- Correggere eventuali preconcetti o informazioni sbagliate nei confronti degli alimenti, della dieta e/o della malattia.
- Far conoscere e interpretare correttamente i segnali fisiologici (fame-sazietà) in relazione ai comportamenti alimentari.
- Concordare gli obbiettivi, le priorità e le modalità del cambiamento.
Va inoltre tenuta presente la complessità dei fattori che interagiscono sui comportamenti alimentari, che richiedono interventi professionali pluridisciplinari sulla base di metodologie operative basate sul lavoro d’équipe, al di fuori delle quali l’intervento di singoli operatori, per quanto ben preparati, rischierebbe di risultare inadeguato e inefficace.
Concetta Latina, Dietista